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al testo di Giovanni Abbate
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La scena non è più la stessa.
Un tempo fummo folla comunità cantori necessari di quella spaziosità concessa. E mai mancava la sottolineatura perché tutti capissero quel che la vicenda narrasse – fosse incesto tradimento o sepoltura.
Vedili ora: un manipolo attrezzati d’improvvisati recitanti – fondali meccanizzati microfoni altoparlanti – sullo scenico palco smisuratamente persi nello spazio di quel perimetro. Li vedi come cercare nel vuoto le battute da bocca a bocca saltellando come rospi di vetro.
Più non partecipiamo alla rappresentazione.
Non più preghiera. Appartenenza. Non più il nostro intercalare s’ode costante quell’intermittenza nel dialogo rassicurante quell’intromissione…
breve della coscienza.
(Da Vocianti – 2010) |
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